Roma, 17 feb. (askanews) – Le tensioni tra la Federazione Russa e l’Ucraina potrebbero certamente avere delle ripercussioni sul mercato mondiale dei cereali, ma l’Europa in generale e l’Italia in particolare non andrebbero incontro a gravi problemi grazie alla abbondanza della produzione interna di grano. “Chi racconta che il problema delle tensioni si possa riverberare su di noi, dando la colpa dei rincari della pasta al grano che si importa dall’Ucraina, non racconta le cose in modo corretto. Non è la componente alimentare a cui possono essere attribuiti i rincari. Certo, siamo dipendenti per il gas, e questo sì che è un problema”, dice, in una intervista ad Askanews, il vicepresidente di Confagricoltura Matteo Lasagna, che è anche allevatore di vacche per la produzione di Parmigiano Reggiano nel mantovano.
Ma se l’import di grano dall’Ucraina non è un problema per l’Italia, un problema però esiste comunque e riguarda soprattutto il settore zootecnico e specificatamente lattiero-caseario. Secondo Lasagna, “il vero problema nell’interscambio con l’Ucraina non è il grano duro e neanche l’olio di semi di girasole, ma sono il mais e la componente energetica del gas che è usato per la produzione di fertilizzanti ad esempio, che nel giro di pochi mesi hanno quadruplicato il loro prezzo”.
Oggi, in termini superficie agricola utilizzata (SAU) l’Ucraina pesa il doppio dell’Italia. Produce soprattutto frumento (6,5 milioni di ettari coltivati), girasole (6,5 milioni di ettari) e mais (5,5 milioni di ettari). Queste tre colture sono la principale fonte di export agricolo dell’Ucraina, spiega Lasagna. La nazione esporta in valore 5,4 miliardi di dollari, pari a quasi 7 milioni di tonnellate di olio di girasole; 4,8 miliardi di dollari per il mais pari a 28 milioni di tonnellate e circa 3,6 miliardi di dollari di mais pari a 18 milioni di tonnellate.
Ma quanto vale l’Ucraina per l’Italia? “Oggi importiamo 2,6 miliardi di merci in valore dall’Ucraina, di cui 700 milioni nel 2019 riguardano produzioni agricole. Nei primi 10 mesi del 2021, abbiamo importato 450 milioni in valore di merci agricole, che rappresentano il 17% delle merci totali importate. Si tratta di un import pari a 210 milioni di euro per l’olio di semi di girasole, seguito da mais con 102 milioni e da frumento duro con 23 milioni. Insomma – dice Lasagna – l’Ucraina potrà essere strategica per il resto del mondo, ma per l’Italia è abbastanza marginale: soprattutto sul grano duro è una piccolezza”.
Se, quindi, è evidente che l’Italia non subirebbe ripercussioni sul fronte della fornitura di grano duro da un acuirsi delle tensioni tra Russia e Ucraina, bisogna però fare una considerazione a parte sul mais. “L’Ucraina è il nostro terzo paese importatore di mais, con una quota pari all’11,4% nei primi 10 mesi del 2021 – spiega Lasagna – e qui è interessante anche capire le dinamiche del mondo lattiero caseario oltre alle correlazioni con la Pac”.
Il settore lattiero-caseario, infatti, è in una crisi profonda, soprattutto a causa dei rincari dell’energia e delle materie prime per l’alimentazione animale come soia (di cui siamo importatori al 90%) e mais (di cui siamo importatori al 40%). “In quest’ottica, se le tensioni scatenate da un conflitto vedessero interrompersi o funzionare a singhiozzo l’export di mais, per gli allevatori italiani potrebbe essere un problema serio – avverte il vicepresidente di Confagricoltura – Inoltre, il mais che arriva dall’Ucraina è tutta materia prima certificata, perché loro usano gli Ogm e stanno sperimentando le Nbt (Nuove tecniche di ibridazione, ndr) e quindi certificano la produzione. In questo modo, il problema aflatossine, che è il principale per il mondo zootecnico, su quelle partite di mais non si pone, proprio perché sono certificate”.
Sul fronte Pac, per l’Italia “è altrettanto strategico l’approvvigionamento estero del mais, perché se domani dovessimo applicare la nuova Pac tout court dovremmo andare in rotazione colturale – ricorda Lasagna – che prevede poi l’acquisizione del premio Pac. Ora, in zone altamente produttive sul mais come Lombardia, Veneto o Emilia Romagna avere una rotazione è interessante, ma per una alimentazione degli animali che vede l’insilato di mais preminente nella produzione di latte, questo potrebbe mettere in crisi le produzioni, proprio in un momento storico in cui noi siamo riusciti ad arrivare al 97% di autoproduzione di latte”.