L'articolo è presente sul numero di ottobre 2024 di Mondo Agricolo, la rivista di Confagricoltura
di Francesco Bellizzi
Il Tar Lazio ha sospeso il divieto del governo all’uso delle infiorescenze di canapa sativa. Paolini CopaCogeca): “Rischiamo gravi effetti economici e legali per 800 imprese”
Le aziende agricole che producono canapa in Italia devono aver tirato un sospiro di sollievo davanti all’ordinanza con cui il Tar del Lazio, l’11 settembre scorso, ha stabilito che non possono essere considerati droga i prodotti a base di cannabidiolo. Il provvedimento ha prodotto automaticamente la sospensione, per il momento, del decreto con cui il ministro della Salute, Orazio Schillaci, si era mosso in senso diametralmente opposto, includendo proprio il Cannabidiolo (Cbd) nella tabella B delle sostanze stupefacenti, limitandone, quindi, la produzione alle aziende farmaceutiche autorizzate e il suo consumo soltanto a chi ne abbia una prescrizione medica. Una scelta, quella del tribunale amministrativo laziale, in linea con quanto stabilito sia dalla Corte di Giustizia Ue nel 2020, sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel 2019, ha definito non psicotropo il principio attivo della canapa. Il Cbd, appunto.
Se il governo dovesse procedere sulla strada intrapresa con l’emendamento al ddl Sicurezza, la conseguenza sarebbe il blocco dell’intera filiera italiana della canapa industriale. A partire dalle imprese che la coltivano che, secondo i dati 2023- 2024 di Imprenditori Canapa Italia del presidente Raffaele Desiante, sono circa 800. Quattrocento sono invece le aziende trasformatrici, operanti nei più disparati settori (alimentare, edilizia, cosmetica, tessile). La filiera, complessivamente, esprime un fatturato da 500 milioni di euro l’anno (di cui 150 vanno in tasse) e dà lavoro stabile a 10mila persone e ad altre 30mila impiegate come operatrici stagionali. Senza contare il danno finanziario che il divieto produrrebbe.
“Diverse Regioni, negli ultimi dieci anni, hanno distribuito finanziamenti pubblici a chi voleva intraprendere la coltura di canapa sativa. Parliamo di 10-15 milioni di euro in prestiti che, il blocco della filiera, non permetterebbe in alcun modo di onorare. Im prese guidate da under 40 (il 60% donne) e che si trovano nelle aree interne e montane dell’Italia grazie alla resistenza della canapa sativa a malattie e sbalzi climatici. La canapa sativa è un incentivo per i giovani ad investire in agricoltura”. A parlare è Jacopo Paolini (in foto), vicepresidente della sezione Lino e Canapa del CopaCogeca e fondatore di Enecta, azienda socia di Confagricoltura, per la quale sta seguendo la travagliata vicenda politico-legale sviluppata intorno alla canapa industriale. Paolini, 44 anni, coltiva canapa da 14 anni tra il Veneto e l’Abruzzo. La recente decisione del Tar Lazio è la terza in ordine di tempo a ribadire la natura non psicotropa del Cbd e quindi, delle infiorescenze della pianta di canapa industriale.
Questo perché non esiste alcuna prova scientifica che questo principio attivo sia uno stupefacente”. Per Paolini, se l’Italia dovesse perseguire la scelta fatta nel ddl Sicurezza, “si rischia sia la bocciatura da parte della Corte di Giustizia Europea che si era già espressa con una sentenza nel 2020, sia una procedura d’infrazione con conseguente multa, dato che viene vietato il commercio di prodotti ritenuti legali dall’Ue”. La Confederazione, una settimana prima dell’ordinanza del Tar Lazio, aveva lanciato al governo la proposta di modifica della legge 242, che disciplina e autorizza la coltivazione della canapa industriale, per escludere dagli usi possibili quello ludico, che dovrà essere disciplinato da un regolamento ad hoc seguendo l’esempio della Germania.
Un modo per mettere al sicuro l’annata agraria del comparto. “La messa al bando delle infiorescenze non permetterebbe più né l’uso né il trasporto – spiega l’imprenditore a Mondo Agricolo –. L’effetto principale sarebbe l’aumento esponenziale delle importazioni dagli altri Paesi in cui il divieto non esiste. Non solo. Avremmo anche una corsa da parte delle aziende estere ad acquistare i raccolti di questo anno ad un decimo del loro valore attuale che sia aggira intorno ai 9mila euro a tonnellata. L’alternativa, per noi produttori, sarebbe mandarli al macero”.
Quando Paolini parla dell’innesco di dinamiche speculative, lo fa per esperienza diretta. “La mia azienda è stata contattata da un gruppo estero per acquistare a scopi cosmetici la biomassa per estrazione prodotta. Altri episodi sono accaduti in Sud Italia, come quello in un’azienda in provincia di Foggia”. Non esiste soltanto il rischio dell’impoverimento economico di centinaia di imprese. C’è anche l’aspetto legale da non sottovalutare. “Se si dichiara illegale la coltivazione di canapa industriale, rischiamo il sequestro e la denuncia per vendita di narcotici. I Nas hanno già iniziato a fare visita alle aziende. Compresa la mia”.