L'articolo è presente sul numero di ottobre2024 di Mondo Agricolo, la rivista di Confagricoltura
di Marco Esposito
Lo spreco alimentare è ancora un problema di dimensioni importanti, ma è sotto gli occhi di tutti l’impegno della filiera agroalimentare per la sua riduzione. Sia attraverso azioni preventive e sia con una gestione delle eccedenze secondo i più recenti principi di economia circolare
Il direttore generale di Confagricoltura, Annamaria Barrile, ha partecipato lo scorso 29 ottobre a The Reunion, l’evento organizzato dal Banco Alimentare sullo spreco alimentare e sulle possibili strade per ridurlo. Tema a cui la Confederazione ha dedicato un workshop alla fiera Ecomondo di Rimini. “È un problema di dimensioni importanti, l’agricoltura fa già la sua parte, ma possiamo migliorare”.
Partiamo dal mondo agricolo. Che strumenti possono essere introdotti per ridurre questo fenomeno?
Gli ultimi dati del Rapporto Waste Watcher 2024 mostrano un aumento preoccupante dello spreco alimentare in Italia. Quest’anno ogni cittadino ha buttato in media 81 grammi di cibo al giorno, rispetto ai 75 grammi del 2023. Una voragine che costa 290 euro annui a famiglia e ‘vale’ oltre 7 miliardi e mezzo solo per il cibo gettato nelle case (1 punto PIL) e 13,5 miliardi per l’intera filiera agroalimentare italiana. Si spreca di più nelle città e nei grandi comuni (+ 8%), si spreca di più a Sud (+ 4% rispetto alla media nazionale) e sprecano di più le famiglie senza figli (+ 3%) e soprattutto i consumatori a basso potere d’acquisto (+ 17%).
Alla luce di questi dati, in agricoltura sarebbe più giusto parlare non tanto di spreco, quanto di eccedenze sul campo, che non dipendono da errori di gestione e di produzione. Le cause sono da trovare, per lo più, negli impatti dei cambiamenti climatici e in dinamiche di mercato non imputabili all’agricoltore. L’agricoltura italiana può e deve fare la sua parte contribuendo alla diminuzione delle eccedenze sui campi, migliorando le tecniche di raccolta e di prima conservazione e attivando partnership con associazioni del terzo settore come il Banco Alimentare con l’obiettivo di far incontrare “domanda e offerta”. A tale scopo, abbiamo siglato un protocollo d’intesa proprio con il Banco Alimentare che prevede una serie di azioni congiunte.
Secondo lei su cosa si dovrebbe puntare?
La riduzione degli sprechi alimentari è, prima di tutto, una questione organizzativa, che interessa tutte le fasi della filiera alimentare: produzione, post-raccolta, trasformazione, logistica, distribuzione, commercializzazione e consumo dei prodotti. Occorre rafforzare gli sforzi per promuovere stili di vita e consumi alimentari più consapevoli e per recuperare tutto ciò che è possibile.
Cosa intende precisamente?
Trasformazione e vendita, per loro natura, sono le fasi della filiera sicuramente più facilitate nel trovare adeguati spazi di donazione. Anche l’agricoltura italiana può fare, ovviamente, la sua parte contribuendo alla diminuzione delle perdite in campo, migliorando le tecniche di raccolta e di prima conservazione; ma poco si può fare contro le avversità climatiche, gli attacchi dei parassiti delle piante, entrambi fattori ed esternalità incontrollabili, che da soli costituiscono più dell’80% delle cause di spreco in agricoltura.
Osservando la ricerca del Banco Alimentare appena presentata, le donazioni provenienti dall’agricoltura sembrano poche.
L’agricoltore per sua natura è un generoso. In Sicilia con la siccità perdurante, quest’anno le arance hanno un calibro piccolo e sono in parte invendibili nella grande distribuzione. Abbiamo ricevuto molte richieste da parte dei nostri associati di poter veicolare il prodotto nelle strutture collegate al Banco Alimentare. L’agricoltore, nonostante venga raccontato da qualcuno come un “nemico dell’ambiente”, è il primo custode del territorio e al contempo, il più esposto al cambiamento climatico. Ricerca, innovazione e tecnologia rappresentano la strada maestra per uscire da alcuni dei problemi più importanti del settore primario. Non ci dobbiamo fermare.