
L'articolo è presente sul numero di marzo di Mondo Agricolo, la rivista di Confagricoltura
di Deborah Piovan
(presidente FNP Proteoleaginose, divulgatrice scientifica)
Il regolamento sulla ricerca genomica, approvato in Europarlamento, presenta novità rispetto al testo della Commissione. A partire dalla normativa (non chiara) sulle categorie di piante derivanti da tecniche di evoluzione assistita
Il 7 febbraio scorso il Parlamento Europeo ha approvato la proposta della Commissione di un Regolamento relativo alle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche, nonché agli alimenti e ai mangimi da esse derivati. Non era scontato. Infatti, la proposta è passata con alcune importanti modifiche e con 307 voti favorevoli, 263 contrari e 41 astenuti. Si sono confermati tendenzialmente favorevoli i parlamentari del Ppe, la destra di Identità e Democrazia e i liberali di Renew Europe.
Spaccati i conservatori di Ecr e i Socialisti e Democratici; contrari, invece, i gruppi dei Verdi, Sinistra e M5s. Leggendo il voto in chiave geografica, troviamo tendenzialmente favorevoli i parlamentari del Sud Europa, più scettici quelli dell’Europa orientale. Questi orientamenti indicano chiaramente un diverso approccio alla ricerca, alla programmazione strategica della filiera di produzione del cibo e all’industria agroalimentare.
Le novità del testo approvato in Europarlamento Rispetto ai contenuti della proposta prodotta dalla Commissione europea (vedi Mondo Agricolo di luglio 2023, pag. 20, ndr.) il Parlamento ha apportato alcune modifiche. Rimane la suddivisione fra piante di tipo NGT1, equiparate alle piante con venzionali; e NGT2, equiparate per molti aspetti agli OGM. L’acronimo NGT sta per Nuove Tecniche Genomiche e indica le piante che in Italia la Società Italiana di Genetica Agraria ha proposto di chiamare TEA, ottenute cioè con Tecniche di Evoluzione Assistita.
Nel concreto indicano piante ottenute con tecniche di biologia molecolare applicate al miglioramento genetico, con l’esclusione di quelle che prevedono inserimento di geni provenienti da specie non sessualmente compatibili: queste sono transgeniche e rimarranno inquadrate nella normativa già esistente sugli OGM. Il Parlamento ha però imposto l’etichettatura e la tracciabilità per entrambe le categorie, aprendo di fatto la strada a possibili situazioni paradossali.
Se infatti le NGT1 sono equiparate alle piante convenzionali, non è chiaro come potranno essere etichettate e distinte da queste ultime dato che, spesso, sono addirittura indistinguibili le une dalle altre. Si tratta di un controsenso biologico e giuridico, con conseguenze sul mercato che potrebbero portare a contenziosi; è evidente che su questo punto saranno necessarie ulteriori modifiche.
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La proposta della Commissione prevedeva il divieto agli Stati membri di proibire la coltivazione di Piante NGT2 esercitando il diritto all’opt-out, cioè quella facoltà introdotta nel 2015 che consente agli Stati membri di proibire la coltivazione di OGM nel proprio territorio, anche se ne importano e a prescindere dalla motivazione (ad esempio si possono addurre motivazioni di ordine pubblico, dato che motivazioni scientifiche di pericolosità di alcun tipo sono assenti).
L’Italia si è avvalsa di questa possibilità per proibire la coltivazione del mais Bt; non l’importazione. Questo genera distorsioni alla libera concorrenza all’interno del mercato unico, dato che gli spagnoli possono coltivarlo.
Quindi la Commissione, per evitare tali storture almeno sulle piante NGT, aveva deciso di non consentire per esse la facoltà di opt-out, ma il Parlamento lo ha reintrodotto. Altro punto critico è la possibilità di revocare le autorizzazioni alle piante NGT nel caso emergano nuovi dati che mostrino ipotesi di rischi.
Sarà necessaria una stretta vigilanza su questo aspetto affinché questa facoltà sia utilizzata, doverosamente, solo davanti ad evidenze scientifiche e non a generici sospetti: abbiamo già visto all’opera un certo lobbismo pseudo-ambientalista, preoccupato di spaventare più che di verificare.
Tornando al percorso della proposta di regolamento, il prossimo passo sarà l’approvazione da parte del Consiglio dell’Ue. Ma qui, i ministri dell’Agricoltura degli Stati membri hanno già fallito nel trovare un accordo. Particolarmente dibattuta la questione della brevettabilità, che pare comunque esclusa.
Nel frattempo, in Italia qualcosa si muove: a inizio gennaio è stata presentata richiesta di prove di coltivazione in campo del riso migliorato con TEA, precisamente con la tecnica CRISPRCas, messa a punto dal laboratorio di ricerca dell’Università Statale di Milano guidato dalla professoressa Vittoria Brambilla (in foto). Si tratta di un riso che non richiede trattamenti fungicidi per essere protetto dal brusone, perché tollerante la malattia.
Molti altri Paesi europei già consentivano le prove in campo, l’Italia no. Ma finalmente nel giugno scorso il Parlamento italiano ha approvato una parziale semplificazione dell’iter di autorizzazione delle prove in campo. Si attende ora la risposta del ministero dell’Ambiente e la Sicurezza energetica, che ci auguriamo non tardi. Concludendo, alla proposta della Commissione va riconosciuto il merito di entrare nel dettaglio delle caratteristiche delle piante migliorate impostando una valutazione per obiettivi - la sostenibilità, l’utilità ai fini del raggiungimento degli obiettivi della Farm to Fork, la resilienza ai cambiamenti climatici - che finalmente si stacca almeno un po’ dalla tecnica utilizzata.
Giova però ricordare che questo approccio farraginoso e francamente complicato sarebbe risolvibile eliminando alla radice tutto l’approccio normativo al miglioramento genetico biotecnologico, che norma la tecnica anziché il prodotto, e cominciando piuttosto a valutare le piante migliorate per le loro caratteristiche. Va riconosciuto che un simile atto di coraggio è ben difficile in Europa e in Italia, dove il dibattito sul tema è stato avvelenato per decenni da considerazioni che non si sono poste come obiettivo la sostenibilità ambientale ed economica della produzione del cibo.
In subordine auguriamoci una rapida approvazione di un testo che è senz’altro migliorabile, ma che rappresenta un buon inizio per promuovere ricerca e coltivazione di piante più adatte alle sfide che l’agricoltura europea deve affrontare: cambiamenti climatici, produttività e sostenibilità ambientale.
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