L'articolo è presente sul numero di ottobre 2024 di Mondo Agricolo, la rivista di Confagricoltura
Di Anja Zanetti
Intorno al cavolo Trunzu, antico ortaggio siciliano dalle proprietà anti-infiammatorie tipico della zona di Acireale, è nato un progetto di rilancio che vede la collaborazione delle Università di Palermo e di Catania. Salvatore Marino lo coltiva con i metodi biologici
Appartiene alla famiglia delle barbicacee (la stessa dei broccoli, delle cime di rapa, ma anche della rucola), cresce nella zona delle “Aci” siciliane, da Acireale in giù, e si presenta come un cavoletto violaceo protetto da lunghi gambi coriacei e ampie foglie carnose. Difficile indovinare che stiamo parlando del Cavolo Trunzu, visto che per molto tempo la diffusione di questo ortaggio è rimasta limitata all’areale di produzione, lungo la costa della Sicilia orientale. Di recente, complici le spiccate proprietà antinfiammatorie e un gusto gradevole anche crudo, la coltivazione del Trunzu è tornata in auge a livello locale, sostenuta da un piano di rilancio con ampie prospettive di crescita.
Il nome rievoca un epiteto che nella provincia di Catania si riserva ai cocciuti. Qualcuno racconta, invece, che deriva dallo spagnolo “trompicar”, ossia “inciampare”, per via della consistenza fibrosa che si percepisce alla masticazione. Quel che è certo è che al G7 di Siracusa, nello spazio “ConfAgorà”, ha spopolato Salvatore Marino, produttore di ortaggi a Pozzillo (frazione di Acireale).
Al progetto di rilancio stanno collaborando i dipartimenti di agraria delle Università di Palermo e di Catania. “L’obiettivo è quello di estendere la superficie coltivata perché il prodotto piace. Oltre a deliziare il palato, è ricco di minerali e vitamine, grazie alla composizione vulcanica dei terreni alle pendici dell’Etna, risultando un ottimo ingrediente per preparazioni farmaceutiche”, ci dice il produttore porgendoci un assaggio. Allo stand di Confagricoltura a Ortigia, il Trunzu è stato tagliato a fettine sottili e così anche la parte tenera delle foglie a mo’ di stelle filanti.
Abbondante olio EVO, succo di limone, sale e pepe: con pochi ingredienti questo piatto ha conquistato i presenti. Non è la prima volta che il Cavolo Trunzu arriva a un pubblico internazionale. L’Ansa riporta che anche Goethe ne scrisse raccontando del suo viaggio in Sicilia a fine Settecento. Infatti, si dice, che questa produzione si fece notare proprio in quel periodo. Tra le peculiarità che hanno favorito un ritorno di interesse, anche il fatto che il prodotto richiede pochi interventi ed è disponibile quasi tutto l’anno. Le migliori produzioni, infatti, si registrano da ottobre a dicembre e tra aprile e giugno.
“È necessaria un po’ di attenzione per evitare la Peronospora e la Cavolaia, ma nel complesso parliamo di una coltura semplice”, conferma Marino, la cui azienda agricola rappresenta uno dei primi ingressi in ConfagriBio. Al momento il Trunzu è disponibile in Sicilia, anche nella parte occidentale, inserito nei menu di ristoranti prestigiosi. “Lo vendiamo principalmente a livello locale, con un prezzo che non supera l’euro al pezzo. Stabilizzando il mercato, questo prodotto, già presidio Slow Food, ha un grande potenziale - prosegue Marino -. Si apprezza anche cotto, bollito o stufato, così da poter impiegare anche le parti meno tenere. Lasciato macerare nel miele, il torsolo, è un ottimo espettorante”. È proprio il caso di dirlo: che cavolo!