Le colture di leguminose come la soia aiutano la sostenibilità in agricoltura, grazie alla loro capacità arricchire di azoto i terreni in cui sono coltivati e quindi di fertilizzarli. E’ quanto sostiene uno studio pubblicato dalla rivista New Phytologist, che è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del CNR di Napoli.
I ricercatori, coordinati da Maurizio Chiurazzi dello stesso istituto, hanno identificato infatti un nuovo meccanismo di controllo per il corretto funzionamento del nodulo azoto-fissatore nelle piante leguminose. Il nodulo azoto-fissatore si forma grazie all’interazione tra le colture leguminose e il rizobio, un batterio che vive nei terreni e che puo' stabilire una simbiosi con le leguminose. Insediandosi nei noduli radicali della pianta, il rizobio permette la formazione di questo nuovo organo in grado di trasformare l’azoto atmosferico in nutrienti per la pianta.
Il meccanismo diventa cruciale in condizioni di stress legate a un eccesso d’acqua che determinano una scarsità di ossigeno, insufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico richiesto per l’attività di fissazione dell’azoto atmosferico nei noduli delle colture leguminose. La ricerca illustra in particolare il ruolo svolto da uno specifico trasportatore che posiziona il nitrato all’interno del nodulo.
“Al contrario, l’eccessiva fertilizzazione del terreno attraverso la concimazione – afferma Chiaruzzi - inquina l’ambiente poiché soltanto una parte dell’azoto contenuto nei concimi viene assimilato dalle piante, mentre il resto rimane nel suolo e i microorganismi presenti nel terreno lo trasformano in prodotti che sono fonte di contaminazione di falde acquifere e atmosfera. L’approccio di fertilizzazione biologica dei suoli legato all’uso di coltivazioni di leguminose è però ancora largamente sottoutilizzato in agricoltura”. (F.B.)