Mondo Agricolo nn. 1-2/2020 - gennaio-febbraio 2020
Cento anni fa nacque la Confagricoltura, con alcuni pionieri che decisero di unire i loro sforzi per dare voce alle imprese agricole. All’epoca si conosceva un’altra Italia, un’Italia agricola, in cui il peso del settore primario era importante, con un terzo degli Italiani che lavorava in agricoltura.
Dopo cento anni, evidentemente, molte cose sono cambiate, ma c’è un dato importante da sottolineare: il comparto agroalimentare è il primo dell’economia nazionale. Quindi l’agricoltura e l’agroalimentare continuano ad essere centrali e nevralgici.
La nostra associazione, in questo secolo di vita, ha contribuito notevolmente alla crescita del settore primario di nome e di fatto. Uno sviluppo che ha consentito di produrre sempre di più e sempre meglio, rispettando le attese dei consumatori, dando garanzie di qualità, quantità e salubrità; parliamo di certezze avallate dal gran numero di controlli sulle modalità produttive e sanitarie che oggi vengono effettuati sull’agroalimentare. Controlli che spesso comportano troppi vincoli, troppi costi, troppe sovrapposizioni e che tolgono tempo al momento produttivo.
Indubbiamente è importante intervenire sul sistema dei controlli, innovare, sburocratizzare e coordinare senza perdere di efficacia; e bisogna continuare a chiedere fortemente la reciprocità di standard sui prodotti importati. È in gioco anche la competitività delle nostre imprese.
Ma quello che sta accadendo in Cina, con l’allarme Coronavirus, deve far riflettere pure su quale sia il ruolo dell’agroalimentare in uno scenario globale. Cento anni fa si produceva localmente, oggi le nostre sfide, il nostro mercato, sono il mondo.
Non si dimentichi che, nel Paese del dragone rosso quest’anno si è iniziato a parlare - ancor prima del Coronavirus - della peste suina che ha colpito un grande settore zootecnico come quello suinicolo, con cento milioni di capi cinesi abbattuti. E questo fa capire come sia cambiato il mondo e le sfide che oggi devono affrontare le imprese agricole e agroalimentari italiane, a cui viene chiesto di essere più competitive e più produttive, mantenendo però gli elevati standard di qualità e salubrità che sono conosciuti a livello mondiale e che ancor più devono essere compresi, anche con un appropriato sistema di etichettatura e di certificazione.
Parliamo di Made in Italy, che dietro la sua storia, la tradizione dei brand ha anche la totale sicurezza che certamente si traduce in un costo per le imprese; una sicurezza però che dà garanzie e che ora deve essere esaltata e trasformata in opportunità per i consumatori e quindi per le nostre imprese.
Massimiliano Giansanti