di Nicola Artoni
L'articolo è disponibile sull'ultimo numero di Mondo Agricolo, cartaceo e on line
Un settore a volte quasi dimenticato, ma che presenta numeri di tutto rispetto. Il comparto ovicaprino riveste un ruolo strategico per l’economia zootecnica del Paese. L’intera filiera vale quasi un miliardo di euro annui tra produzione di latte e carni, con un totale di 135mila allevamenti e circa 7,4 milioni di capi.
A fare il punto sullo stato di salute del settore, sulle sfide per il futuro e su quanto di bello possa offrire questa tipologia di allevamento è Angela Saba, presidente della FNP Allevamenti ovicaprini di Confagricoltura, che ha scelto le Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona per presentarsi con un convegno sugli Stati Generali del comparto. Il solo il fatto che a un appuntamento come quello di Cremona, tradizionalmente incentrato sui bovini da latte, si sia parlato di ovini, è un primo spunto di riflessione.
“Essere alle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona per il settore è importantissimo - spiega Saba a Mondo Agricolo -. Possiamo dire che è stato abbattuto una sorta di muro di Berlino per noi spazzando via l’idea che il comparto ovicaprino sia marginale, mostrando numeri e fatturati e spiegando come questa attività dia da mangiare a tantissime persone”.
In Italia - lo dicono i numeri - il settore è importante. Il Paese è al primo posto per produzione di formaggi a base di latte di pecora, al terzo per la produzione di latte ovino, dietro Grecia e Spagna, e al settimo posto per la produzione di carni ovicaprine.
A livello nazionale, la metà dei capi allevati oggi è in Sardegna, e lì si concentra quasi la metà del valore della produzione di carne e latte; il resto del patrimonio ovicaprino e della relativa produzione è localizzato tra Sicilia, Toscana e Lazio ed in misura minore Calabria, Basilicata e poi nel resto d’Italia. E se negli ultimi cinque anni sono scomparsi 9.745 allevamenti (-6,7%), la contrazione del gregge si attesta invece al -2,5%. “I fattori sono tanti - continua la presidente della FNP -. Si va dall’aumento delle predazioni al mancato ricambio generazionale, ma va detto che il calo riguarda maggiormente le aziende specializzate, in favore di quelle per autoconsumo. Cresce chi lavora il latte in autonomia, una pratica che potrebbe portare anche ad un abbassamento dei prezzi”. Tante possibilità di crescita all’orizzonte.
“Il nostro - prosegue Saba - è un settore in profondo rinnovamento, e che si sposa benissimo con le nuove linee green dell’Unione Europea. Dobbiamo far capire ai giovani che le soddisfazioni ci sono, così come, e soprattutto, il reddito. Non siamo più pastori, ma allevatori a tutti gli effetti, e il mantenere gli animali allo stato brado o semibrado non impedisce di meccanizzare e innovare. Dobbiamo impegnarci per diversificare ulteriormente le nostre produzioni e puntare sulla genetica, che può darci una grande mano contro le malattie e il cambiamento climatico”.