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di Gabriella Bechi
Daniela Mastroberardino è la nuova presidente dell’associazione nazionale Le Donne del Vino. Produttrice campana, amministratore ed export manager dell’azienda Terredora a Montefusco (Avellino), ha ricevuto l’incarico il 10 gennaio scorso dal nuovo consiglio direttivo. Il simbolico campanellino le è stato passato da Donatella Cinelli Colombini, la presidente uscente che ha retto l’associazione per sette anni portando le socie a oltre quota mille.
“È tempo di guardare avanti – ha detto Mastroberardino appena eletta - senza dimenticare questi quasi 35 anni di eredità che ci vengono consegnati e che sono frutto del lavoro di tutte noi donne del vino, ma, in particolare, delle presidenti che mi hanno preceduto e che tanto impegno hanno profuso, ognuna con il proprio tratto distintivo. Un ringraziamento per tutte alle tre presidenti che conosco meglio: Pia Donata Berlucchi, la prima presidente al cui fianco ho lavorato, alla mia conterranea Elena Martusciello, con cui ho condiviso gli inizi della mia vita associativa, e a Donatella Cinelli Colombini, da cui ricevo il testimone dopo sette anni straordinari”.
Presidente, lei ha iniziato a lavorare nell’azienda agricola di famiglia negli anni ’90, insieme a suo padre Walter e ai suoi fratelli Paolo e Lucio ed ha partecipato attivamente alla sua trasformazione e alla sua crescita. Qual è il segreto del successo delle vostre etichette, che sono riuscite a portare orgogliosamente l’Irpinia e la Campania nel mondo?
Nasco in una famiglia che fa vino da generazioni, ma, nel 1994, decidiamo di intraprendere un nuovo percorso. Il progetto a cui abbiamo dato vita, Terredora Di Paolo, è imperniato sulla centralità della vigna, oggi 180 ettari di proprietà, tutti in Irpinia, terra montuosa, dove non ci sono le piane assolate o le colline bruciate dal sole del Sud, ma tante cromie di verde e un clima continentale. I nostri vini sono espressione di questo territorio e delle sue tante sfaccettature, della nostra filosofia, sintesi dell’appassionata ricerca tra rispetto e valorizzazione dei luoghi. Di stile moderno o meglio sartoriale, esaltano la distintiva personalità dei siti dove abbiamo voluto le nostre tenute e dei millenari vitigni autoctoni campani: Aglianico, Coda di volpe, Falanghina, Fiano, Greco. In sintesi, conosciamo molto bene l’Irpinia, le sue zone più vocate per la viticoltura, le sue varietà e abbiamo scelto di voler essere protagonisti in tutte le fasi produttive, per assicurare quella qualità globale che è all’origine di vini da ricordare.
Lei è socia delle Donne del Vino dalla fine degli anni Novanta, quando l’allora delegazione campana era composta da solo quattro produttrici. Come ha visto cambiare il ruolo delle donne in questo comparto, che rappresenta una delle eccellenze del made in Italy agroalimentare?
In quegli anni, poche erano le imprenditrici, le manager; ma avevamo consapevolezza di un mondo che sarebbe cambiato rapidamente. Infatti, le donne della mia generazione cominciavano ad affacciarsi, colorando di rosa gli organigrammi aziendali e facendo poi, nel tempo, carriera. Oggi, nell’agricoltura italiana, secondo gli ultimi dati Censis, le donne a capo di aziende agricole coltivano il 21% della superficie agricola utilizzabile, ma producono il 28% del Pil agricolo. Dal 2003 al 2017 le donne manager rurali sono cresciute del 2,3% portando un pensiero differente e orientato all’accoglienza e alla diversificazione. Un dato che fa del settore primario l’unico comparto economico tradizionale con una variazione tanto positiva. La crescita della presenza femminile contribuisce ad un rinnovamento alimentato da un melting pot fatto di crescita di presenze turistiche straniere e tecnologia, che ha contribuito in modo positivo alla crescita dell’intero settore.
Nel corso della sua carriera ha ricoperto incarichi importanti anche in altre associazioni di settore. È stata presidente del Movimento Turismo del Vino della Campania, prima di diventare presidente nazionale dal 2012 al 2015. È stata premiata nel 2016 con il Premio Standout Woman Award e con il Premio per l’eccellenza del fuoricasa al femminile di Fipe. Quali sono state le tappe determinanti nella trasformazione del vino da semplice prodotto agricolo a simbolo di cultura, tradizione, stile di vita, capace di coinvolgere intorno a sé segmenti di mercato così diversi?
Il lungo percorso che ha portato a diventare il vino parte dello stile di vita italiano, che gli stranieri apprezzano, è cominciato alla fine degli anni Ottanta, quando il settore ha compreso che bisognava svoltare, puntare sulla valorizzazione delle produzioni. È cresciuto tantissimo il livello qualitativo ed è cambiato l’approccio del consumatore. Manifestazioni come Cantine Aperte, nata nel 1993, hanno contribuito ad affermare quello che è il comune percepito odierno: il vino è protagonista di territori, di storie, di contesti socioeconomici che mutano. Tutto questo attrae tantissimo il consumatore. Infatti, dopo trenta anni il vino è diventato uno status culturale, perché conoscerlo vuol dire essere persona interessata, culturalmente preparata, curiosa, ed è parimenti cresciuta la motivazione di viaggio legata alla scoperta, alla conoscenza dei luoghi del vino.
Nonostante i grandi successi registrati, il mondo del vino ha davanti a sé qualche scoglio che dovrà superare, soprattutto a livello europeo. Come crede dovrebbe muoversi il nostro Paese su alcuni temi, come quello dell’etichettatura?
Il vino è un sistema di qualità, di produzione che va difeso, perché tanti sono i fattori che lo caratterizzano: culturali, occupazionali, economici, di benessere. Tra i primi segni della civiltà dell’uomo, è, infatti, una delle più simboliche espressioni del rapporto tra uomo e terra, della capacità del primo di innovare con lo studio e di trasformare i prodotti della seconda. Continuiamo, pertanto, a fare lobby nel rivendicare il vino come parte di uno stile di vita che ci appartiene storicamente e culturalmente, ma, da sempre, è improntato alla moderazione nel consumo. Tutto ciò che noi ingeriamo, alcol incluso, deve essere consumato senza abusi: l’educazione alimentare non passa, infatti, per etichette allarmistiche.
La sua azienda rappresenta uno dei soci storici di Confagricoltura. Quale ritiene debba essere oggi il ruolo di un’Organizzazione di rappresentanza?
Essere sul pezzo. E per far questo mantenere saldo il rapporto con i propri associati, che affrontano quotidianamente problemi e sfide nuove e sempre più complesse. Oggi, più che mai le aziende hanno bisogno di Organizzazioni che le rappresentino nelle sedi giuste, dove si assumono le decisioni. Decisioni che sembrano apparentemente lontane, ma che, invece, impattano molto sui nostri destini.
Tradizione e innovazione sembrano poter convivere facilmente nella filiera vitivinicola. Ma oggi si stanno aprendo nuovi orizzonti: agricoltura di precisione, robotica, ricerca genetica…. Qual è il suo atteggiamento a riguardo?
Vengo da studi non scientifici, ma credo che l’innovazione sia decisiva in un contesto agroindustriale, in un mondo sempre più competitivo e dove il cambiamento climatico sta mutando tanti scenari. Il nostro è un settore dove la tradizione è un valore imprescindibile, ma credo pure non debba tramutarsi in un’ancora che non sappiamo, vogliamo tirar su, quando è il momento di navigare. Non a caso tradizione e innovazione sono un mantra anche del marketing del vino.
Quali sono i suoi progetti per l’associazione che guiderà per i prossimi tre anni?
La mia idea di presidenza passa per un consiglio molto coinvolto e sarà caratterizzata dalla condivisione di pensieri e progetti. Ho la fortuna, infatti, di lavorare con un gruppo meraviglioso e con undici talenti che fanno parte del nuovo consiglio direttivo, ognuna con una sua peculiarità e tutte animate da grande entusiasmo. Rappresentano dal Nord al Sud l’Italia il vino al femminile e portano con loro, per esperienza e trascorsi di vita, la memoria della tradizione con i piedi ben piantati nella terra e lo sguardo verso il futuro e l’innovazione. La nostra cifra sarà la continuità, proporremo il punto di vista delle donne nel mondo del vino: cultura, formazione, presenza sui temi che animano anche la vita politica di questo settore e internazionalizzazione, ma non ci mancherà, di fronte alle nuove sfide, neanche la voglia e la capacità di rinnovarci.