La diffusione della Peste suina africana, al momento riscontrata solo su cinghiali, non è ancora sotto controllo, ma la vera emergenza riguarda, oggi, non tanto l’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime, ma soprattutto le difficoltà di approvvigionamento per l'alimentazione animale legate alla disponibilità dei cereali, come ad esempio il mais, per effetto del conflitto russo-ucraino. A lanciare l’allarme su una situazione di grande emergenza a tutti i livelli, che potrebbe addirittura creare problemi di produzione di carne anche al consumo, è Rudy Milani, presidente della Federazione nazionale suinicola di Confagricoltura.
“Purtroppo la Psa – fa notare – oggi è passata in secondo piano. I produttori suinicoli non sono ora preoccupati per i costi, che pure hanno subito forti rincari, ma per la mancanza di materie prime sul mercato. Non riusciamo più ad acquistare mais, frumento, orzo, soia, olio di soia e girasole, le polpe di bietola e la crusca. Siamo in una situazione surreale perché non sappiamo dove trovare questi prodotti”.
Una situazione drammatica per gli allevatori di suini che hanno già capito, come rileva Milani, che gli incrementi del prezzo dei maiali alla fine si riverserebbero, inevitabilmente, a valle della filiera e, quindi, con un effetto a cascata, anche sul consumatore. Ma chi sarà disposto a pagare di più per l’acquisto di un etto di prosciutto? Oltre al rincaro delle materie prime, sottolinea il presidente della Federazione nazionale suinicoltura, ci sarà da assorbire la crescita del costo del carburante e delle bollette dell’energia.
“Le scorte delle industrie mangimistiche – precisa Milani – possono far fronte a questa situazione per circa 30 giorni. Qualche prodotto dagli Usa dovrà arrivare. La disponibilità di mais è quella che più ci preoccupa, visto che annualmente ne importiamo 5 milioni di tonnellate dall’Europa e una buona parte arriva appunto da Ucraina e Ungheria, che hanno fermato l’export. L’Italia è autosufficiente per poco più del 50% del mais consumato”. Quindi, al di là dei prezzi, è un grande problema l’impossibilità a reperire questo cereale che è alla base della razione nell’alimentazione zootecnica.
“Come produttori di suini – continua Milani - non possiamo dar meno da mangiare ai nostri animali, ma saremo costretti a mandare alcuni suini in anticipo al macello per far sopravvivere gli altri. Ovviamente questo puo' ripercuotersi sulla filiera, creando un intasamento delle attività ai macelli con conseguenze negative per gli allevatori. Potrebbe essere in gioco, a questo punto, anche la disponibilità di carne suina sui banchi di macelleria”.
In questa situazione negativa gli allevamenti da ingrasso potranno ridurre l’acquisto di lattonzoli, mentre staranno peggio gli allevamenti a ciclo chiuso e soprattutto le scrofaie, che dovranno gestire nell’imminenza i nuovi parti delle scrofe che erano stati programmati mesi fa”.
Quanto al problema della diffusione della Psa, non è ancora sotto controllo, come fa sapere sempre Milani: “Regione Piemonte ha lavorato bene per evitare la diffusione del contagio riscontrato al momento solo nei cinghiali. Si tratta di una zona dove ci sono pochi allevamenti di suini, tuttavia ha messo in allarme anche le zone e le regioni più vocate. La Psa coinvolge 114 Comuni nelle province di Alessandria, Savona e Genova”. (F.B.)