Un collega, un professionista, uno dei più profondi conoscitori dell’agricoltura, italiana, europea e mondiale, ma per chi scrive soprattutto un amico. Cesare Tabacchini ci ha lasciato, all’improvviso, senza dirci perché. Si, per lui questa parola non esisteva, nel senso che c’era sempre una risposta a tutti i perché che noi gli sottoponevamo.
Eravamo amici prima che la nostra avventura in Confagricoltura iniziasse. Anzi, la sua era appena iniziata, dopo aver rinunciato ad un importante incarico nella diplomazia, e io, legata ad un profondo affetto a quella che poi sarebbe diventata sua moglie, Patrizia Fiorelli, dopo poco, nel 1984, sono entrata in Confagricoltura per occuparmi della comunicazione.
Cesare era l’assistente dell’allora direttore generale Rinaldo Chidichimo, che aveva visto in lui, seppur giovanissimo, una grande risorsa per la Confederazione. Una scelta lungimirante per quei tempi, un investimento in un giovane che in breve tempo riuscì a scalare tutte le vette della carriera. Certa di dimenticarmene qualcuna, direttore dell’Economico, della Comunicazione, della Segreteria di presidenza. Ma, soprattutto “mentore”. Credo che tutti, quelli che più o meno hanno la mia età, sono cresciuti all’ombra di Cesare: un’ombra protettiva, mai ingombrante, che però sapeva darti direttive e grandi libertà. Per me, che con Cesare ho condiviso viaggi e passioni, il segreto è questo: prendeva tutto sul serio, da una partita di tennis a Casal Palocco ad una sciata a Saint Moritz; da un un week end a Porto Santo Stefano a un safari in Tanzania, da un concerto durante l’Estate Romana a un bagno a Ostia o una uscita in barca nella splendida e amata Puglia in cui si era ritirato con Patrizia, che in quella terra era nata, da qualche anno; da una relazione per il presidente di turno a un articolo per Mondo Agricolo.
Come la sua passione per l’agricoltura e il suo attaccamento per la Confagricoltura, che aveva lasciato per proseguire la sua brillante carriera a Bruxelles, ma che non aveva mai dimenticato; tanto da ritornare, una volta andato in pensione, per mettere a disposizione dell’Organizzazione le sue competenze. Mi piace ricordarlo così: un punto di riferimento per tutti, presidenti, dirigenti, colleghi più anziani come me; ma anche per tutti i giovani che oggi sono in Confagricoltura, che forse non lo hanno conosciuto personalmente, ma che negli ultimi anni lo hanno visto nel Palazzo. Non dimenticheremo mai il suo esempio.