
Diversamente da qualsiasi tipo di inquinamento, che si riduce in breve tempo con la riduzione delle emissioni, i gas ad effetto serra persistono a lungo nell’atmosfera, continuando una significativa azione di riscaldamento del clima, anche per 50-200 anni, a seconda dei gas e delle reciproche combinazioni. In condizioni “naturali” l’effetto serra è indispensabile per determinare e mantenere sulla terra una temperatura “vivibile”. Negli ultimi 150 anni le attività dell’uomo hanno immesso progressivamente nell’atmosfera ulteriori quantità e qualità di gas-serra determinando un incremento della temperatura del pianeta di circa 1°C rispetto all’epoca preindustriale.
La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera – come ricorda l’analisi del Centro Studi di Confagricoltura - è passata dalle circa 280 parti per milione dell’epoca preindustriale alle attuali 400-420 parti per milione. Questo ha determinato una maggiore frequenza di fenomeni atmosferici estremi e modificazioni del contesto biologico (habitat di animali, piante e microrganismi). Questi fenomeni mettono a rischio l’incolumità delle persone, la sicurezza degli insediamenti, lo svolgimento delle attività agricole da cui dipende la disponibilità di cibo.
In occasione della Conferenza sul clima di Parigi del dicembre 2015 (COP 21) è stato stabilito un accordo globale (da cui in seguito sono “usciti” gli USA) che prevede la riduzione delle emissioni di gas-serra di circa il 15% in modo da contenere l’incremento della temperatura planetaria in +2°C (possibilmente +1,5°C) entro il 2030. La riduzione media annua sarebbe dunque di circa l’1%.
Nel primo triennio post 2015 (2015-2018) la riduzione complessiva delle emissioni di gas-serra in Italia è stata sensibilmente inferiore al previsto -3%, essendo stata realizzata una riduzione di -1,2%.
Una sfida, quella delle riduzioni dei gas serra e della lotta ai cambiamenti climatici, che impatta in modo significativo sull’agricoltura e per la quale il settore primario svolge un ruolo chiave.
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