
“L’allevamento di cavalli deve essere considerato un settore agricolo a tutti gli effetti, anche dal punto di vista fiscale, amministrativo e previdenziale, e deve poter accedere a tutte le prerogative riservate al settore primario. Questo è anche il primo obiettivo della proposta di legge quadro sull’ippicoltura che è stata presentata nel giugno scorso ed è attualmente al vaglio del Senato dopo aver ricevuto il via libera della Camera”.
Così Ferruccio Badi - 57 anni, neo-presidente della Federazione nazionale equini di Confagricoltura e titolare di Badi Farm, un allevamento per la selezione del cavallo Quarter Horse con sede a Sumirago (Va) - chiede più attenzione per il settore partendo da una richiesta fondamentale: comprendere nell’attività agricola l’allevamento e tutte le attività di valorizzazione dei cavalli in un’ottica di filiera per superare un quadro normativo estremamente frammentato, anche a livello di Regioni, e rilanciare l’ippicoltura.
“Si tratta di un comparto che in Italia – spiega il presidente della Federazione nazionale di prodotto Equini - si divide in due categorie: i cavalli sportivi o legati all’ippica, al turismo all’equitazione e all’ippoterapia, che rappresentano il 96% del totale, e quelli da carne che rappresentano una minoranza, non più del 4%. Al momento c’è disparità di trattamento tra le due categorie e solo l’allevamento del cavallo per produzioni alimentari, quindi una piccolissima percentuale, viene considerata attività agricola in alcune regioni e non in altre”.
Ad esempio, in Lombardia, come fa notare sempre Badi, se non si allevano cavalli per produzioni alimentari, non è possibile accedere ai bandi di finanziamento del Psr, mentre in Veneto e in Toscana gli allevatori di cavalli sono equiparati agli allevatori di altre specie e possono accedere ai fondi sullo sviluppo rurale.
Stesso discorso sull’Iva: viene utilizzata l’aliquota ordinaria del 22%, e non quella “agricola” fissata al 10%. Anche il discorso previdenziale e contrattuale è diverso da quello degli addetti dell’azienda agricola considerati dipendenti agricoli e assunti con il contratto specifico della categoria.
Tutta questa confusione, come ha sottolineato Badi, ha creato notevoli problemi a un settore che nel nostro Paese conta oltre 443mila capi ma che, a causa della crisi strutturale, ha già subito, tra il 2014 e il 2015, un calo vicino al 20%, equivalente a circa 106 mila cavalli.
“Tutta la filiera del cavallo, che comprende il cavallo da vita, da carne o da corsa – sottolinea il presidente della Federazione nazionale di Confagricoltura Badi – deve rientrare nell’agricoltura e come tale deve essere considerata dal punto di vista fiscale, amministrativo, previdenziale. Occorre ricomporre e tutelare in tutte le sue numerose sfaccettature il mondo del cavallo che va dalle attività di allevamento all’addestramento e allenamento, dalle competizioni equestri alla cura in azienda, dalla scuola di equitazione al turismo equestre. È necessario, pertanto, che vengano considerate parte della stessa filiera aziende agricole e agriturismi, ma anche scuderie e associazioni sportive dilettantistiche che spesso svolgono attività identiche, ossia la cura dei cavalli di proprietà e di terzi, l’attività di noleggio, maneggio e le lezioni di equitazione. Si tratta di aziende che investono, sostengono spese di esercizio, perché hanno costi fissi non solo di alimentazione e producono Pil”. (F. B.)
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