L'articolo è presente sul numero luglio-agosto 2024 di Mondo Agricolo, la rivista di Confagricoltura
Di Redazione
Le limitazioni al fotovoltaico sui terreni agricoli contenute nel recente decreto sul settore, rischiano di rallentare gli investimenti di tutto il settore
Più attenzione nello stabilire divieti che accelerare la definizione delle aree idonee. È questa la valutazione di Palazzo della Valle alla parte del Dl Agricoltura, convertito in legge il 12 luglio scorso, dedicata allo sviluppo del fotovoltaico in agricoltura ed al DM aree idonee. Un approccio che non facilita gli investimenti nel settore e rende più complesso il già ambizioso obiettivo degli 80 Giga Watt da installare entro il 2030. Obiettivo che ha bisogno di un quadro di regole chiare per permettere alle imprese del settore di pianificare e portare avanti gli importanti investimenti che la progettazione e l’installazione degli impianti di energia rinnovabile richiedono.
La norma su cui si concentra il dibattito tra gli addetti ai lavori è quella che vieta il fotovoltaico a terra sui terreni agricoli, ossia l’articolo5, ad eccezione di alcune aree definite idonee ai sensi del comma 8 dell’art. 20 del d.lgs. 199/21,di alcuni investimenti del PNRR e dei progetti per i quali sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative. In tale contesto sembra essere necessario quantomeno un chiarimento su quale tipo di fotovoltaico sia sottoposto alle limitazioni introdotte dal provvedimento governativo, convertito dalle Camere. Chiarimento necessario per evitare dubbi interpretativi anche su progetti - come quelli rientranti nella categoria “Agrivoltaico standard”- che comunque prevedono una sinergia tra produzione di energia ed agricoltura.
A livello generale è opportuno ricordare che in Italia, a fine2023 (dati GSE) la superficie occupata dagli impianti fotovoltaici collocati a terra era stimabile in circa 16.400 ettari pari allo 0,14% della Superficie agricola utilizzata (Sau) e allo 0,1% della Superficie totale aziendale (Sat). Si tratta di 9GW di energia prodotta da solare di cui almeno1,5 derivano da investimenti di aziende agricole. Ora si rischia di bloccare il fotovoltaico a terra anche nelle aree marginali e abbandonate.
Inoltre, il DM aree idonee delega la definizione delle stesse alle Regioni, che dovranno procedere in tal senso entro 180 giorni. Il decreto introduce peraltro un elemento di incertezza lasciando alle Regioni la facoltà di ricomprendere o meno le aree idonee già definite. Tale facoltà si estende anche alle aree adiacenti alle autostrade o agli insediamenti industriali. Ossia le zone su cui risultano concentrati attualmente gli investimenti.
In un contesto così poco chiaro anche le rinnovabili in agricoltura potrebbero avere un rallentamento, parliamo di una fetta importante della produzione totale di energia green in Italia. Il settore primario, infatti, rappresenta circa il 9,5% della produzione elettrica da fotovoltaico e se consideriamo anche le biomasse ed il biogas si raggiunge l’8% della produzione elettrica rinnovabile totale.
È evidente, quindi, la necessità di garantire una continuità di sviluppo attraverso disposizioni di carattere fiscale, autorizzativo e di incentivazione per gli imprenditori che vogliono investire sull’energia verde come attività connessa alla principale: quella di produzione di cibo di qualità. Verso questo orientamento non sembra andare la disposizione approvata sempre nel Dl Agricoltura che esclude dalle attività connesse(e quindi, dal reddito agrario) i piccoli impianti fotovoltaici a terra che entreranno in esercizio dall’1 gennaio 2026.
In ballo c’è il lavoro degli ultimi anni sulla diversificazione del reddito d’impresa, importante anche per il rafforzamento dei processi di auto consumo dell’energia. Incoraggiare gli investimenti in energia pulita da parte degli imprenditori agricoli, veri custodi del territorio, è l’unica garanzia perché la produttività del suolo sia garantita e perché la transizione energetica non vada a detrimento della produttività agricola.